Tra il 14 e 15 Ottobre si è tenuta la marcia storica “Da Tonovcov grad (Caporetto) a Tricesium (Tricesimo), via Forum Julii (Cividale del Friuli)“, secondo appuntamento di “Itinerari storici Longobardi“. Alcuni membri dell’associazione La Fara hanno percorso circa 50 km in 2 giorni, partendo dalla vicina Slovenia, passando dalla capitale del Ducato (Cividale) e giungendo a Tricesimo, paese costruito sulla strada per il Norico (storica provincia romana).
Il percorso è quello che la tradizione identificava come la porta d’ingresso dei Longobardi in Italia nel 568 ed è stato identificato utilizzando come fonte principale l’opera di Paolo Diacono (720-799) “Historia Langobardorum“.
Per chi è solito frequentare le nostre pagine “La Fara” non risulterà essere un nome nuovo. Abbiamo avuto l’occasione di incontrarli durante vari eventi negli scorsi anni, principalmente presso l’archeodromo di Poggibonsi.
Per chi non lo sapesse, è una delle migliori associazioni di ricostruzione storica attualmente attive, avente sede a Cividale del Friuli.
Dimostrando sempre grande serietà e fondamento scientifico in ciò che fanno, i componenti si prefiggono l’obiettivo di divulgare il patrimonio storico-archeologico longobardo, principalmente Friulano, tramite la ricostruzione dei corredi funerari a cavallo tra fine VI ed inizi VII secolo d.C.
Per poter approfondire l’argomento della marcia storica, abbiamo posto alcune domande al presidente dell’associazione, Gabriele Zorzi.
Come nasce “Itinerari storici Longobardi”? A chi è venuta l’idea?
L’idea di un percorso a piedi in abito longobardo nasce praticamente insieme a La Fara, credo che le prime discussioni fossero del 2010 o 2011. In questa forma, di collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli, si concretizza nei primi mesi del 2016. A maggio di quell’anno pubblichiamo la sua prima declinazione : “Dal Duca al Vescovo“, un percorso di circa 80 km in 4 giorni tra Friuli e Carnia. Quest’anno, con l’arrivo di “Da Tonovcov grad a Tricesium, via Forum Julii” ( 50 km in 2 giorni), il progetto comincia ad essere conosciuto anche dal pubblico con il suo nome complessivo. Itinerari storici Longobardi, appunto.
Da cosa era composto l’equipaggiamento per un tragitto di questa durata e a quali fonti vi siete attenuti?
Per entrambe le esperienze indossavano le nostre consuete ricostruzioni di abiti e calzature, evitando solo le più ricche per prevenirne l’usura eccessiva. Quindi scarpe “a fiore” per la stragrande maggioranza ( altre tipologie solo di riserva in caso di rotture irreparabili o di specifiche ricostruttive differenti , come per il “nostro” avaro).
Per il trasporto di cibo, vesti pesanti, mantelli e tenda ( questa solo per l’esperienza del 2016), ci siamo affidati a gerle in vimini sacchi a spalla e “zaini” in cuoio con intelaiatura lignea.
Le fonti per le vesti e le calzature sono le consuete a cui facciamo riferimento: i poco numerosi reperti , i riferimenti di Paolo Diacono nell’Historia Langobardorum e le iconografia coeve.
Come sistemi di trasporto abbiamo prediletto le gerle perché spesso rappresentate nei materiali musivi tardo romani, mentre per gli “zaini” abbiamo optato per una soluzione empirica , basata sui materiali a disposizione e le necessità meccaniche che dovevano soddisfare.
Avevamo sempre con noi anche piccoli attrezzi per il taglio della legna, come le nostre ricostruzioni della scure barbuta della tomba 24 di Santo Stefano in pertica a Cividale o quella del tipo “a T” della medesima necropoli. Non potevano mancare il filo di lino, la cera d’api e gli aghi di bronzo per le riparazioni serali di calzature e vesti; così come acciarino ed esche per accendere il fuoco.
Quali risultati può dare questa attività di sperimentazione e in che modo può influire sulle conoscenze riguardo il popolo Longobardo?
In primo luogo fornisce uno “stress test” di materiali e ricostruzioni che nessun altra attività potrebbe fornirci, in secondo luogo ci permette di analizzare quanto determnanti fossero alcune condizioni ambientali nel determinare la funzionalità di oggetti che oggi troveremmo poco utili. Un esempio lampante sono proprio le scarpe a fiore. Nelle nostre due sperimentazioni abbiamo potuto osservare come il loro comportamento sia efficientissimo e soggetto a scarsa usura, su terreti erbosi, terrosi, anche ghiaiosi o di sottobosco, mentre il loro utilizzo sulle moderne pavimentazioni asfaltate ne porti in breve tempo ad un grado di consunzione tale renderle inutilizzabili o neccessitarie di frequenti riparazioni. A questo scopo abbiamo utilizzato tre livelli di “ammodernamento” parziale di queste calzature, proprio al fine di confrontarne resa e durata. Uno di noi indossava riproduzioni quanto più fedeli possibili, in un unico pezzo quindi e senza suola, oltre al cuoio che formava la tomaia stessa della scarpa. Un altro ne portava di quasi identiche ma con suole in cuoio leggero, un terzo aveva applicate delle suole in gomma, sebbene di spessore al inferiore ai 3 mm.
Se “la comodità” resta un fattore soggettivo, ma ad ogni modo abbastanza rilevante da far registrare un aumento della stessa in relazione alla più stretta fedeltà ricostruttiva del pezzo se utilizzato su terreni “naturali”, al contrario il livello di usura risulta ben valutabile oggettivamente. Sui tratti superiori ai 5 km con pavimentazione in asfalto, la prima tipologia di calzature di consumava rapidamente, fino a forarsi e a lasciare il piede scoperto nel contatto con il suolo. La seconda tipologia ha resistito meglio, permettendo all’utilizzatore d percorrere tutti gli 80 km di “Dal Duca al Vescovo” , ma richiedendo riparazioni continue, anche più di una al giorno, per poi rendersi completamente inutilizzabili proprio durante “Da Tovnocov grad a Tricesimum”. La terza tipologia ha accompagnato l’utilizzatore lungo tutti I 130 km complessivi di “itinerari storici Longobardi”, senza richiedere manutenzione particolare.
Un dato interessante rispetto alla “funzionalità” meccanica di questo tipo di scarpe rispetto ad attrito del terreno, ma anche movimenti del piede, non credete?
Quanto è stato importante l’apporto del Museo Archeologico Nazionale di Cividale e del Comune di Tricesimo?
L’apporto del MAN di Cividale è stato fondamentale nella parte preparativa d entrambe le iniziative, in particolare nella strutturazione dei contesti storici di ambientazione dei nostri itinerari e in alcuni specifici riferimenti accademici alla letteratura sul tema. Non va trascurato poi l’apporto relativo alla condivisione mediatica dei contenuti ed al riconoscimento qualitativo dell’esperienza, più volte espresso dalla direttrice dott.ssa Angela Borzacconi.
Il comune di Tricesimo ci ha fornito , un po’ come lo scorso anno il museo di Zuglio, un interlocutore all’arrivo, ma anche una grande occasioni di rendere noto l’operato dell’associazione alla cittadinanza del comune in cui ha sede, ma in cui (fatta eccezione la didattica nelle scuole) opera poco pubblicamente. L’attuale giunta, nella persona dell’assessore Alessandra Vanone, si è dimostrato oltremodo sensibile al tema della ricostruzione e dalla valorizzazione storico/archeologica, speriamo nell’inizio di una collaborazione foriera di nuovi ed imprevedibili progetti.
è stato difficile scegliere chi fra di voi vi avrebbe partecipato? Qualcuno era restio a percorrere il tragitto in un periodo dell’anno non proprio favorevole? Il nostro Scoz vorrebbe sapere se siete dovuti ricorrere ad un’ordalia.
Nessuna ordalia, mi spiace, ma se vuole Scoz può unirsi a noi alla prossima occasione e comprendere come la marcia sia l’ordalia!
In associazione si scherza molto su quale sia l’origine del disagio “presidenziale” che mi spinge a proporre progetti tanto folli e al limite delle nostre capacità di sopportazione fisica, ma il fatto di trovare poi un gruppo interessato a provarci mi ha fatto capire, che a prescindere dall’origine, la natura del suddetto disagio sia comune. Alcuni di noi per questioni di salute o di affaticamento fisico, hanno sempre preferito non partecipare in quanto marciatori, ma in entrambe e edizioni si sono dimostrati impagabili nel gestire una logistica “spalmata” su molti kilometri, specialmente nei casi in cui stava a loro organizzarsi per offrirci le “comodità” che avremmo potuto trovare chiedendo ospitalità lungo la via tra VI e VII secolo.
C’è un momento particolare dell’esperienza di cui vorreste parlare? Oppure un imprevisto in cui vi siete imbattuti lungo il percorso.
Ci sono stati molti momenti emotivamente importanti. Alcuni collocabili nel bene come lo spirito di condivisione e profondo cameratismo delle nottate in tenda fra piedi doloranti e carne secca, altri negativamente come gli attimi di sconforto nei momenti in cui l’arrivo di giornata pareva troppo lontano e le vesciche o i dolori , conseguenti al deterioramento delle scarpe storiche sulla pavimentazione moderna, si facevano sentire molto. I momenti generalmente più arricchenti sono però quelli in cui il pubblico casuale , incontrato per strada o sentiero, ci ferma e resta con noi per qualche tempo a farsi raccontare chi siamo, cosa facciamo e sopratutto chi erano e cosa facevano i Longobardi del Ducato del Friuli. Un “divulgazione di strada” che raggiunge un pubblico curioso e molto legato al territorio, ma spesso completamente diverso da quello che si riesce a raggiungere con i social o con i media tradizionali.
Avete rimpianto qualche oggetto moderno lungo il cammino o non avete potuto fare a meno di portarvene dietro qualcuno?
Rimpianti direi nessuno, infondo lo facciamo per scelta e per passione, ma alcune concessioni al moderno le avevamo, in particolare due. La prima era un kit di pronto soccorso per eventuali incidenti, la seconda gli smartphone per una duplice necessita : documentare ed aggiornare in presa diretta il pubblico che ci segue sui social e tracciare con il gps il nostro percorso per poterlo pubblicare al termine di ogni giornata di cammino, dimostrando così di non “barare” .
Pensate potrebbe essere interessante portare la vostra esperienza all’interno delle aule universitarie?
Si, ne sono certo. Con il giusto uditorio potrebbe creare interessanti dibattiti tanto sugli stress test, quanto sulla divulgazione dal basso, sul territorio, oltre ovviamente a riaprire il mai esaurito argomento del valore e dei principi della ricostruzione storica “scientifica”.
Domanda meno seria ma utile per nutrire il nostro lato nerd. Prima della partenza abbiamo notato sulla vostra pagina facebook una citazione di Tolkeniana. Sapendo che Tolkien è sempre stato molto legato a scritti storici e leggende nordiche, l’interesse per le sue opere quanto è stato importante per la nascita della passione e in seguito allo sviluppo del lavoro da ricostruttori storici?
Importante, per tutti. Fondamentale, per alcuni. Insostituibile, complessivamente. Senza le opere dl professor Tolkien forse La Fara non sarebbe mai esistita, perchè l’amore per indagare nel passato di tutti noi nasce da quelle pagine. In fondo, il ricostruttore, se onesto con sè stesso e rispettoso della materia che tratta, non fa forse esattamente quello che Tolkien viene descritto fare nella prefazione al Signore degli anelli di Elémire Zolla? Cito :”[…]Tolkien commise una lunga infrazione alle regole, specie a quelle che presiedono all’ancora (per poco?) vigente studio accademico delle letterature antiche. Esse vogliono che il filologo o lo storico del gusto partecipi per la parte riservata al suo ufficio all’opera di schedatura universale, nel quadro d’una Burocrazia-come-Essere-che-si-svela-a-se-stesso. Guai a far rivivere l’antico (uccidendo il moderne). In The Lord of the Rings Tolkien viceversa riparla, in una lingua che ha la semplicità dell’anglosassone o del medioinglese, di paesaggi che pare d’aver già amato leggendo Beowulf o Sir Gawain o La Mort Arthur, di creature campate tra il mondo sublunare ed il terzo cielo, di essenze incarnate in forze fantastiche, di archetipi divenuti figure.”.
Il ricostruttore dicevo, non si arrischia anch’egli ad avventurarsi sul quel sottile strato di ghiaccio che separa il riprodurre, il vivere , il testare, dal mistificare, dal piegare alle proprie ideologie contemporanee? Ecco Tolkien è stato fondamentale nei nostri progetti, per ricordarci la nostra ineluttabile modernità, nello spronarci a voler far sentire la voce della nostra (di tutti) antichità , nello spingerci a guardare sempre al mondo accademico come unico arbitro riconosciuto del nostro senso della “misura”.
Sono previsti altri eventi in futuro?
Ovviamente si, sono già in elaborazione in realtà, abbiamo diversi tragitti e modalità differenti di approccio che stiamo discutendo dalla fine di “Dal Duca al Vescovo”, “Da Tonovcov grad a Tricesimum” è stato solo il primo ad essere realizzato!