Abbiamo conosciuto l’Associazione La Fara in uno dei primi tiepidi giorni di sole della scorsa primavera all’Archeodromo di Poggibonsi. Da subito ci sono stati tutti i presupposti per l’inizio di una storia d’amore nello stile delle migliori pellicole romantiche. In molte occasioni abbiamo trattato delle loro attività: non solo nel corso di altri eventi presso l’Archeodromo, ma anche raccontandovi la loro ricostruzione dell’ingresso dei Longobardi in Italia nel 568 d.C.
Da otto anni lavorano per ricostruire un gran numero di aspetti della vita dei Longobardi della prima generazione, che per primi entrarono nella Penisola alla fine del VI secolo d.C.
Sono particolarmente attivi a Cividale del Friuli, grazie a collaborazioni con il MAN, che permettono loro di organizzare grandi eventi di reenactment, occasioni di studio e divulgazione. Sono anche molto impegnati in attività didattiche in collaborazione con molte scuole del territorio circostante. Non disdegnano organizzare trasferte, che li hanno impegnati in tutta Europa.
Nella settimana appena trascorsa abbiamo proposto, tramite i nostri canali social, alcuni esempi materiali della loro attività di ricostruzione. Infatti, la maggior parte possibile dei vestiti, accessori ed armi con cui si mostrano al pubblico è frutto di una ricerca scrupolosa di confronti. Consultano fonti di ogni sorta, dall’Historia Langobardorum di Paolo Diacono (720-799), ai reperti degli scavi di contesti di quel periodo, soprattutto dai pressi di Cividale del Friuli. Grazie a questa loro attenzione filologica, godono di un’ottima reputazione come reenactors.
Ecco dunque una rassegna dell’Associazione La Fara in 7 reperti :
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1 La prima ricostruzione proposta è quella di un’ascia a “T”, a destra. Il manufatto studiato dall’Associazione è illustrato nel disegno a sinistra: si tratta di un esemplare rinvenuto nelle campagne di scavo 1987/88 della necropoli di Santo Stefano in Pertica, presso Cividale del Friuli. Asce di questo tipo risultano presenti nelle tombe germaniche dal V al VII secolo. Il suo nome deriva dal caratteristico profilo della lama. La scure a “T”, appartenendo ad un corredo non identificabile ed essendo ampiamente diffusa sia geograficamente che cronologicamente, lascia notevoli dubbi sul suo effettivo valore ed utilizzi, la forma però la ricondurrebbe facilmente ad un attrezzo da lavoro.
2 In una tomba datata attorno al 600 d.C., messa alla luce da uno scavo del 1826 presso Grupignano vennero rinvenuti tre oggetti di ferro: due piccole incudini assieme a uno strumento ricurvo, forse un ribattino. Questi pezzi del corredo (sopra) vengono confrontati con la loro ricostruzione ad opera della Fara (sotto). Nella foto inferiore è visibile anche la ricostruzione di una fibula in argento proveniente dalla stessa sepoltura. Questi oggetti dovevano far parte dell’attrezzatura di un orefice: questi artigiani erano sicuramente attivi nella Cividale longobarda.
3 La scure barbuta visibile a destra risale agli inizi del VI secolo e proviene dalla necropoli di Santo Stefano in Pertica. Anche il nome di quest’arma deriva dal suo profilo, caratterizzato dalla lama larga e allungata verso il basso con taglio ricurvo. Il suo studio ha permesso all’Associazione la Fara di ricostruirne un esemplare, a sinistra. Questo tipo di scure viene tradizionalmente indicata come tipica della popolazione longobarda, in contrapposizione alla “francisca” dei Franchi. Il corredo della sepoltura in cui è stata rinvenuta è molto ricco, pertanto potrebbe essere stata posseduta dai un guerriero di alto rango.
4 Alcuni accessori antichi potrebbero non essere presi in grande considerazione da un occhio inesperto. Tuttavia, sono molto preziosi per l’Associazione perché consentono di curare gli abiti dei ricostruttori fin nei minimi dettagli. È il caso di questa fibbia di cintura, rinvenuta negli scavi in via Zara a San Giovanni di Casarsa (sopra), confrontata con la ricostruzione della Fara (sotto). È una cintura “a parti multiple”, datata alla prima metà del VII secolo, molto comune nel periodo. Queste cinture vengono trovate anche in sepolture prive di altre armi nel corredo: forse indicano che il defunto, benché di rango militare, non aveva una disponibilità economica sufficiente a farsi seppellire armato.
5 A sinistra la foto di un “fiasco” in ceramica grigio chiara stampigliata, dalla necropoli giudaica di Cividale del Friuli, datato alla fine del VI secolo; a destra una foto della sua riproduzione, realizzata da “Keramik durch die Epochen“ e donata alla Fara dal gruppo di reenactment degli Hedningar – Europa zur Merowingerzeit. La sua denominazione, risalente agli anni ’90, non dà volutamente indicazioni d’uso, dato che non vi sono elementi per stabilirlo. Ad esempio, in fiaschi più piccoli sono stati trovati resti di bevande, mentre per altri tipi ancora si è ipotizzato un uso come pentole.
6 Un esempio della bravura degli orefici longobardi è offerto da questo esemplare di fibula a bracci uguali, con le estremità decorate con un motivo animalistico antropomorfo. Risalente alla fine del VI secolo o agli inizi del VII, è stata rinvenuta in una tomba di un infante di 9 anni nella necropoli di San Mauro di Cividale del Friuli ed è mostrata in alto. Questa fibbia solitamente viene rinvenuta in sepolture maschili. In questo caso il defunto era di rango elevato, data la preziosità del corredo. Probabilmente era impiegata per chiudere un mantello. La Fara per ricostruire questo reperto si è avvalsa della collaborazione con la Fucina Longobarda Mazzola che ha realizzato per loro la riproduzione visibile in basso.
7 Irene Barbina della Fara ha incontrato maggiori difficoltà nel reperire le fonti per ricostruire questa tunica maschile longobarda, appartenente a un personaggio di alto rango (sinistra). È ispirata al Piatto di Isola Rizza, di cui a destra è mostrata la foto di un dettaglio con un guerriero germanico orientale, colorata dalla Fara. Altre fonti consultate per questa ricostruzione sono alcuni passi descrittivi della Historia Langobardorum di Paolo Diacono e i reperti mineralizzati della tomba 40 della necropoli della ferrovia di Cividale del Friuli. I tessuti impiegati nella tunica sono seta e lana, completamente cuciti dalla Fara.
Jacopo Scoz e Luca Luppino