Il nostro viaggio nell’archeologia siciliana non si è fermato durante le feste pasquali, spostandoci dalle calde temperature dell’occidentale Castelvetrano a quelle più miti del piccolo paesino di Caltavuturo, nel cuore delle Madonie palermitane. Siamo stati in compagnia del Dott. Filippo Iannì e dei suoi ragazzi del servizio civile, impegnati negli scavi archeologici sulla Terravecchia di Caltavuturo.
I lavori, iniziati a fine Marzo, sono coordinati sul campo dal Dott. Iannì e sotto la direzione scientifica dei Dott. Rosa Maria Cucco e Stefano Vassallo della Soprintendenza di Palermo. Agli scavi partecipano i ragazzi coadiuvati dalla Cooperativa “Insieme per l’Ambiente” diretta da Giuseppe Guarnieri. Le indagini iniziate dalla chiesa di San Bartolomeo, dove è stata già effettuata una pulizia che ha messo in luce parte dei resti della struttura parzialmente crollata. Altri saggi di scavo hanno interessato l’interno dell’edificio, con il chiaro intento di proseguire le indagini nella parte esterna e lungo il perimetro del vecchio abitato, per verificare l’esistenza di mura o fortificazioni. Con lo scavo si spera di datare la fondazione dell’abitato della Terravecchia.
Approfittando della bella giornata e della compagnia dei nostri giovani amici dello scavo di Terravecchia, ancora provati dai fumi e dalle interminabili portate del pranzo, muniti di coraggio e buona volontà paragonabili a “Dora l’esploratrice”, abbiamo visitato in lungo e in largo le bellezze monumentali del piccolo paesino.
Il territorio Caltavuturese, inquadrato tra i versanti occidentali delle Madonie dove confluisce l’ultimo tratto settentrionale dell’antico fiume Himera, richiama da sempre un particolare interesse storico-archeologico, sia per il suo forte carattere di antropizzazione agricola che reca tutti i segni di un’antica tradizione locale, sia per le considerevoli tracce d’occupazione degli insediamenti del passato.
Le fonti scritte, tuttora di difficile interpretazione, suggeriscono che la fondazione del piccolo centro dovette avvenire verosimilmente in epoca araba, intorno al X sec., sulla sommità del terrazzo roccioso e scosceso di Terravecchia. Per molti storici, il toponimo stesso marca inequivocabilmente l’origine islamica dell’insediamento urbano, anche se l’etimologia si districa sue due principali filoni: Kalaat-abitur (Qa’lat Abi Tawr), vale a dire castello di Abi-Thur con riferimento al nome del comandante saraceno che proprio in questo territorio affrontò con il suo esercito una cruenta battaglia durante la campagna di conquista della Sicilia. La seconda ipotesi, basata sulla parola araba Kalaat (rocca) e da quella siciliana vuturu (avvoltoio), invece, apre una questione un po’ più ampia, poiché fa risalire l’origine del nome all’epoca della presenza romana nell’entroterra siciliana. Di fatti, gli arabi non fecero altro che appropriarsi del termine latino mons vulturis, il quale a sua volta traduceva il già preesistente toponimo greco Oros Torgion (in realtà è la correzione di Gorgion, Diodoro XX, 89, 4) ovvero “monte dove nidificavano gli avvoltoi”. Dunque, è chiara come tale incertezza toponomastica derivi dalla somiglianza fonetica o scritta tra il nome del condottiero arabo e le varie trasformazione idiomatiche del termine, durante le varie dominazioni.
Passeggiando lungo il sentiero che porta al sito di Terravecchia, la vista si imbatte immediatamente sul lieve pendio che confluisce con la vallata del Imera settentrionale, dalla cui sommità la vista domina, rendendolo un prezioso punto di osservazione. Nonostante i danni subiti intorno agli anni 50’, dovuti principalmente ai lavori di rimboschimento e sistemazione dell’area, sul sito di Terravecchia, si distinguono ancora oggi numerosi resti murari riconducibili al vecchio abitativo medievale, il quale venne abbandonato tra il XV e XVI, probabilmente direttamente collegato all’esaurirsi delle esigenze difensive, che avevano caratterizzato tutta l’età medievale. Le strutture maggiormente distinguibili nel paesaggio dell’altopiano roccioso sono i resti del Castello saraceno di Kalat-Abi-Thur del IX secolo, di cui rimangono soltanto le mura perimetrali, tre torri, due rettangolari e una semicircolare, e le tracce della chiesa madre intitolata a San Bartolomeo.
Deviando leggermente il percorso verso la parte nord-occidentale del sito, esattamente alle sue pendici, abbiamo continuato l’esplorazione del monte, incontrando lungo il nostro percorso la piccola Chiesa del Casale, recentemente oggetto di un significativo intervento di restauro e consolidamento strutturale, che ha consentito oltre che la riapertura della struttura al pubblico, la ripresa delle funzioni liturgiche.
Focalizzando l’attenzione sul paesaggio che ci si apre davanti, un pensiero appare chiaro. La posizione strategica del sito, affiancata alle alture della Rocca di Sciara e di Monte Riparato, costituiva una roccaforte naturale che già in antico dovette rappresentare un significativo asse di collegamento tra l’approdo tirrenico dell’insediamento di Himera e le aree più interne della Sicilia. Risulta facile supporre che questa peculiare collocazione geografica, sia stata la causa motrice della presenza in questo territorio di centri abitati di forte entità socio-economica, in età antica su Monte Riparato e in quella medievale sulla Terravecchia, come testimonierebbero i reperti di pregiata manifattura rinvenuti nel corso delle diverse indagini archeologiche interessanti le due aree.
Purtroppo a causa del breve tempo a nostra disposizione (esauriti i bonus vita di “Dora” e anche vinti dai postumi del pranzo) non siamo riusciti a raggiungere in solitaria la sommità di Monte Riparato. Nonostante ciò, abbiamo proseguito la nostra avventura e riscoperta “archeologica” al Museo Civico Giuseppe Guarnieri, presso l’Antico Convento “San Francesco” dei Frati minori Riformati risalente al primo trentennio del XVII secolo. La nostra visita, focalizzatasi principalmente sulla la sezione archeologica del museo, inaugurata nel 2013, ci ha riservato e restituito un interessante excursus dei i reperti provenienti dal sito di Monte Riparato e dal territorio di Caltavuturo, tra cui manufatti in ceramica, una collezione numismatica di denari argentei di età romana. Degna di nota è la Phiale aurea ritrovato a Monte Riparato, databile tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C., in oro massiccio, decorata a sbalzo, recante nel bordo esterno un’iscrizione in caratteri greci con il nome di Damarco, figlio di Achiri.
Infine, con questa stagione di scavo, speriamo possa incentivare il “pubblico” ad un ritrovato interesse per l’archeologia caltavuturese e più in generale dalle Madonie, da sempre fortemente valorizzata e promossa attivamente dalle varie giunte comunali, che si sono susseguite, ultima quella dell’attuale Sindaco Giannopolo.